Maso da San Friano (Firenze 1531-1571) La Miniera dei Diamanti
IL MITO
Si dice che Adamas , la pietra indistruttibile, concentri e diffonda poteri infiniti. Il terzo occhio che rivela l’anima di chi lo porta.
In ogni Civiltà il Diamante evoca la Forza del Potere e della Seduzione, ereditate direttamente da Dio e non esiste Credo o Religione in cui esso non sia presente.
Patria delle Pierte Preziose, l’India attribuisce loro un’origine miracolosa. Un’antica credenza le vuole uscite dal corpo di una “Asura” (demone) folgorato dagli dèi, dalle cui spoglie mortali sprizzarono “montagne di Gemme”. Dalle ossa del demone, chiamato secondo la tradizione Bala o Vajra, nascono i Diamanti, dai suoi denti le Perle, dal sangue i Rubini, dalla biile gli Smeraldi, dagli occhi gli Zaffiri, dal suo grido l’Occhio di Gatto, dalla pelle i Topazi, dalle unghie i Crisoberilli, dalla linfa il Granato, dal chilo la Corniola, dal grasso il Cristallo di Rocca e il Corallo. Non appena il corpo dell”Asura” ebbe restituito la sua messe di gemme, una moltitudine di esseri celesti e semidei si impadronirono di esse per farle conoscere nei tre mondi.
“Deva, Yaksa, Siddha, Naga arraffarono quei gioielli sparsi come semente. Nel loro volo precipitoso attraverso il limpido spazio ne lasciarono cadere tutt’intorno, e dovunque cadde, nel mare, nei fiumi, sulle montagne, nelle foreste, questa semente dall’enorme peso formo’ i giacimenti”. (L. Finot, Les Lapidaires Indiens)
I LAPIDARI
Tutte le gioie di cui 1’ India era ricca. Il lapidario indiano e’ di un tipo molto particolare non certo per ciò che riguarda la struttura, in quanto esso segue canoni ben precisi nella descrizione (origini, qualità, difetti, virtù, prezzo), ma piuttosto per la convinzione che tutte le opere sono molto spesso dono o castigo di una divinità’ e perciò, a seconda dei casi, apportatrici di fortuna o sfortuna. Un popolo dalle credenze profonde e’ quello degli Indiani; un popolo che molto spesso alla cultura abbina la leggenda.
A quando risalga la ideazione dei “lapidari “indiani non è possibile stabilirlo, anche se la compilazione è abbastanza recente. I più antichi scritti dell’india classica e specialmente il Kama Sutra, hanno numerosi richiami alla magia delle gemme ed alla loro influenze sulla sorte del possessore.
Tra tutti i lapidari indiani conosciuti si cita in particolare il “Ratnapariska” o “Conoscenza delle gemme” che può senza dubbio essere considerato il padre di tutti i lapidari. L’India infatti è considerata come la culla delle pietre preziose e di tutta la scienza a loro inerente. Presso gli antichi indiani tre categorie di persone dovevano possedere la “Ratnapariska”: i commercianti che ne erano i diretti interessati; i principi, perchè un signore doveva essere sempre in grado di giudicare una pietra; i poeti che nelle descrizioni dei palazzi e delle corti esibivano tutte le gioie di cui 1’ India era ricca. Il lapidario indiano e’ di un tipo molto particolare non certo per ciò che riguarda la struttura, in quanto esso segue canoni ben precisi nella descrizione (origini, qualità, difetti, virtù, prezzo), ma piuttosto per la convinzione che tutte le opere sono molto spesso dono o castigo di una divinità’ e perciò, a seconda dei casi, apportatrici di fortuna o sfortuna. Un popolo dalle credenze profonde e’ quello degli Indiani; un popolo che molto spesso alla cultura abbina la leggenda.
continua la storia su lapidari
La storia maledetta del diamante Koh-I-Noor, tra i gioielli più preziosi della corona inglese
Il percorso di una delle gemme più preziose e discusse di sempre.
Letteralmente il suo nome significa Montagna di luce, per via dei suoi 105,602 carati. Dal 1849 fa parte dei più preziosi gioielli della corona inglese – non solo come metafora: è proprio incastonato al centro della croce maltese nella corona della regina madre Elisabetta. Entrò nelle mani della regina Vittoria nel 1849, durante la conquista della regione indiana del Punjab quando l’allora Impero britannico stava espandendo i propri domini. Presto la pietra andò ad arricchire la corona reale, trovando la sua nuova dimora nella Torre di Londra.
La proprietà del diamante, tuttavia, ancora oggi è un terreno di scontri con quattro altri pretendenti: India, Iran, Afghanistan e Pakistan. Della sua origine si sa ben poco. Alcuni ritengono sia stato trovato nel letto di un fiume in India attorno al 1300, altri che sia stato invece estratto dalla miniera di Kollur. Come che sia, da allora divenne oggetto di desiderio dei più grandi sovrani. Per secoli passò di mano in mano dei Mughal indiani, degli iraniani, degli afghani e delle comunità sikh. La leggenda vuole che se a possedere la gemma fosse un uomo, questi sarebbe stato il sovrano del mondo, ma avrebbe sofferto di una grande sfortuna. Se a possederlo fosse stata una donna, questa sarebbe stata invece molto fortunata
Le prime testimonianze storiche lo vedono nelle mani del sovrano Moghul Muhammad Babur, che lo ottenne come offerta di pace nel 1526, quando invase e conquistò Delhi. Pochi anni più tardi, il figlio Humayun si ammalò e, sempre secondo la leggenda, Babur venne avvertito della mala sorte del diamante ma non volle darvi credito, finché, disperato per il figlio, pregò che venisse salvato, in cambio della propria vita. Così avvenne: Humayun si riprese dalla sua malattia, mentre la salute di Babur peggiorò, portandolo alla morte nel 1530.
Le notizie sulle vicende del diamante – fino al possesso britannico – restano poco chiare e complesse, ma lo videro sempre come pegno di scambio, suggello di patti di pace nelle conquiste dei sovrani del Medio Oriente. Di certo vi è che lo storico Mohammad Kazim Marwi sostiene di averlo visto molti anni dopo a Herat, incastonato nella testa di uno dei pavoni del celebre Trono del pavone – costruito agli inizi del XVII secolo dall’imperatore Shah Jahan nel Forte rosso di Agra – seduta costata più del Taj Mahal e che riuniva le più gloriose pietre raccolte dai Mughal in tutta l’India.
Il suo attuale nome è dovuto Nadir Shah, valoroso condottiero che nel 1739 riuscì a sconfiggere il sovrano Muhammad dei Moghul. Questi ottenne anche la gioielleria del sovrano indiano, comprendente il Trono del pavone, ma venne informato da una concubina di Muhammad che questi nascondeva due pietre preziose nel suo turbante. Shah escogitò
dunque un inganno per mettere le mani sulle pietre, senza incrinare la pace appena firmata: invitò il sultano indiano a un ricevimento e, secondo l’antica usanza, propose di scambiare le corone in segno di alleanza. Tornato nelle sue stanze, srotolò il turbante dell’imperatore e vi trovò il glorioso diamante: “Koh-i-noor!” – esclamò in farsi – “montagna di luce”.
Tuttavia, Nadir Shah impazzì, trasformandosi in uno dei tiranni più crudeli del Medio Oriente, finché non venne assassinato durante il sonno nel 1747. Il regno, gioielli inclusi, fu quindi conteso tra figli e nipoti, sino a che Ahmad Shah Abdali, generale di Nadir Shah, salì al potere e prese il Koh-I-Noor. La nuova dinastia si stanziò in Afghanistan e il diamante passò da un sovrano all’altro della famiglia, finché nel 1810 il regno cadde e l’ultimo sovrano trovò rifugio alla corte di Ranjit Sikh, imperatore Sikh del Punjab. Ranjit pretese immediatamente il Koh-I-Noor, ma il sovrano afghano tentò di tenerlo per sé: prima sostenne di averlo venduto, poi gli inviò un misero topazio spacciandolo per il celebre diamante. Ranjit per tutta risposta circondò il palazzo di Shah Shuja impedendo qualsiasi rifornimento, finché non ottenne la pietra.
Il diamante rimane in mano ai Sikh fino al 1849, quando l’India fu annessa all’Impero britannico con il trattato di Lahore, in cui veniva fatta esplicita menzione del Koh-I-Noor. Arrivò nelle mani della regina Vittoria il 3 luglio 1850. Venne esposto nel 1851 al Crystal Palace durante l’Esposizione Universale di Londra a Hyde Park, dove venne visitato da più di sei milioni di persone, più del 30% della popolazione britannica di allora.
La critica – e anche il principe Albert – però ritenne che il diamante, che allora misurava 186 carati, fosse tagliato male e poco luminoso. Venne quindi chiamato Mozes Coster, il più grande commerciante israelita-olandese di diamanti che inviò a corte i suoi migliori artigiani, facendo costruire addirittura un’apposita macchina a vapore per il taglio, che venne completato in trentotto giorni, sotto la stretta supervisione del Principe. Due anni più tardi venne incastonato in una tiara con altri 2000 diamanti, dove rimase finché nel 1911 venne montato su una corona in platino composta esclusivamente da diamanti, in occasione dell’incoronazione di Queen Mary, moglie di Giorgio V. venne poi trasferito sulla corona della regina Elizabeth Bowes-Lyon, dove si trova tutt’ora.
L’India ha poi reclamato più volte il possesso del Koh-I-Noor, esponendo addirittura la causa alle Nazioni Unite. L’episodio più recente risale a una visita in India del Primo ministro inglese David Cameron nel 2013, che dichiarò «illogica» la restituzione del diamante.